DESISTENZA TERAPEUTICA: “il contrario del non agire”

Da alcuni anni, nel contesto dell’ampio dibattito sui temi di appropriatezza e proporzionalità delle cure nelle fasi critiche della vita sviluppatosi innanzitutto nel mondo delle Rianimazioni e delle Terapie Intensive (1), è cresciuta la riflessione sul concetto di Desistenza Terapeutica.

Si tratta evidentemente di un argomento di rilievo per le cure palliative, che richiede un approccio non semplicistico (è infatti un luogo comune quello che ritiene che i palliativisti siano “quelli che sospendono tutto e fanno solo Morfina”. Al contrario, si potrebbe dire che i palliativisti sono quelli che “non desistono mai”, in quanto sempre si può “fare qualcosa” anche negli ultimi istanti di vita: è l’esperienza quotidiana a domicilio e negli hospice).

Saper “desistere” è innanzitutto un atto medico che richiede attenta valutazione clinica, discernimento prognostico, appropriatezza e proporzionalità di cura.

Se è vero –come emerso in un recente articolo- che la principale sofferenza alla fine della vita dei malati affetti da demenza è spesso principalmente “iatrogenica” (2), allora sospendere i trattamenti superflui diventa già di per sè una concreta terapia che migliora le condizioni di vita del paziente. Eppure, molti dati dimostrano che negli ultimi giorni di vita non sono rari esami invasivi, prelievi ematici, medicazioni dolorose o inutili mobilizzazioni “riabilitative”, per non parlare di trasfusioni, infusioni di chemioterapici, esami diagnostici e trattamenti farmacologici costosi quanto inutili. Interessante uno studio su un “effetto collaterale” non secondario di questa sofferenza indotta dall’ostinazione terapeutica: nei reparti dove “si muore male”, gli “operatori stanno male”. E dove gli operatori stanno male… si muore peggio (3).

Questo atteggiamento “desistente” non significa di per sè astensionismo: nel concreto è indispensabile un attento e costantemente aggiornato confronto con gli specialisti con cui quotidianamente sono chiamati a rapportarsi i “moderni” palliativisti.

Nell’ambito delle patologie neurologico-degenerative, dove una stessa procedura quale il posizionamento di una PEG può essere del tutto inappropriata in un paziente affetto da demenza (4)  che “non mangia più” (perchè il significato neurologico della perdita del riflesso della deglutizione è di per sè di tale gravità prognostica da rendere del tutto inutile un supporto calorico “teorico” con una procedura tecnicamente fortemente disagevole e in genere mal tollerata), mentre lo stesso posizionamento può essere fortemente indicato, con intento autenticamente “palliativo” (cioè di miglioramento della qualità di vita), in fasi anche precoci nei pazienti affetti da SLA. Considerazioni simili si possono fare sulla Ventilazione Non Invasiva, in cui la tecnologia può garantire in determinate situazioni un netto beneficio su uno dei sintomi più difficili, la dispnea, senza essere di per sè un eccesso non tollerato, mentre in altre condizioni è ben noto che il miglior trattamento della dispnea terminale non è il supporto ventilatorio, ma un corretto utilizzo della morfina.

Un tema delicato e attuale è quello del “desistere” dopo aver messo in atto trattamenti cosiddetti “vitali”. Sospendere un trattamento ha lo stesso peso morale di non iniziarlo? Intorno a questo interrogativo si apre un grande spazio di riflessione, per esempio, nel campo della Terapia Intensiva. Come ricordava in un recente convegno (5) il prof. Pierpaolo Donadio, anestesista-rianimatore, molti dati dimostrano che proprio i Centri che più “salvano vite” sono quelli più predisposti a sospendere procedure diventate evidentemente inutili. Un paradosso? Al contrario, una logica dimostrazione del fatto che la possibilità di sospendere aumenta il coraggio di agire nel momento del dubbio e dell’incertezza. Le analogie con il mondo delle malattie cronico-degenerative sono evidenti. Molto importante in questo contesto su cui è grande il dibattito anche legislativo, il parere del CNB di giugno 2024 (6).

Dal rapporto fra Cure palliative e Medicina di Urgenza molti passi sono stati fatti negli ultimi anni, arrivando a definire in modo sintetico il corretto atteggiamento nel paziente spesso impropriamente ricoverato in Pronto Soccorso alla fine della vita: tra “fare tutto” (ostinazione terapeutica) e “fare nulla” (abbandono) bisogna scegliere di “fare altro” (palliazione). Controllare i sintomi, evitare eccessi, evitare omissioni, rivalutare con regolarità, prendersi cura del dolore globale del paziente, della famiglia, dell’intera équipe: è il lavoro quotidiano dei palliativisti nelle case e negli hospice, che può diventare paradigma per tutti i contesti di assistenza dove la vita è più fragile.

Che cosa significa dunque “desistere”?

Affidiamo la conclusione alle parole di Cicely Saunders, considerata da molti la fondatrice delle cure palliative, che così così diceva in un intervento al Medical College di Londra nel 1965, dove sapeva che molti sarebbero stati scandalizzati di fronte a un’idea di medicina capace di accettare la morte e di accompagnarla non come sconfitta, ma come esperienza autentica di cura: «…Tuttavia parlare di accettazione della morte quando il suo arrivo è diventato inevitabile non è semplice rassegnazione o debole sottomissione da parte del malato, né disfattismo o negligenza da parte del medico. Per entrambi, il malato e il medico, ciò significa il contrario del non agire. Il nostro compito consiste quindi nell’alterare la natura di questo processo ineluttabile in modo che non sia visto come una sconfitta della vita, bensì come un risultato positivo della morte; un successo intensamente individuale per il paziente stesso»

Un contributo del Dott. Ferdinando Garetto

 

Riferimenti

(1) GRANDI INSUFFICIENZE D’ORGANO “END STAGE”: CURE INTENSIVE O CURE PALLIATIVE? “DOCUMENTO CONDIVISO” PER UNA PIANIFICAZIONE DELLE SCELTE DI CURA (2013)  Documento approvato e condiviso da: • SOCIETÀ ITALIANA ANESTESIA ANALGESIA RIANIMAZIONE TERAPIA INITENSIVA (SIAARTI) • ITALIAN RESUSCITATION COUNCIL (IRC) • ASSOCIAZIONE NAZIONALE MEDICI CARDIOLOGI OSPEDALIERI (ANMCO) • SOCIETÀ ITALIANA MEDICINA EMERGENZA URGENZA (SIMEU) • SOCIETÀ ITALIANA CURE PALLIATIVE (SICP) • SOCIETÀ ITALIANA NEFROLOGIA (SIN) • ASSOCIAZIONE NAZIONALE INFERMIERI DI AREA CRITICA (ANIARTI) • SOCIETÀ ITALIANA MEDICINA GENERALE (SIMG) • ASSOCIAZIONE ITALIANA PNEUMOLOGI OSPEDALIERI (AIPO)

(2) Green L, Capstick A, Oyebode J. Iatrogenic suffering at the end of life: An ethnographic study. Palliat Med. 2023 Jul;37(7):984-992. doi: 10.1177/02692163231170656. Epub 2023 Apr 23. PMID: 37088974; PMCID: PMC10320702.

(3) Spence J, Indovina KA, Loresto F, Eron K, Bailey FA. Understanding the Relationships Between Health Care Providers’ Moral Distress and Patients’ Quality of Death. J Palliat Med. 2023 Jul;26(7):900-906. doi: 10.1089/jpm.2022.0425. Epub 2023 Mar 7. PMID: 36880878.

(4) Borasio GD, Jox RJ. Response to Shalom J., Conundrum of Percutaneous Endoscopic Gastrostomy Insertion for Patients with Advanced Dementia and Dysphagia (DOI: 10.1089/JPM.2022.0524). J Palliat Med. 2023 Jun;26(6):746. doi: 10.1089/jpm.2023.0084. Epub 2023 Mar 10. PMID: 36897294.

(5) DESISTENZA TERAPEUTICA E PROPORZIONALITA’ DELLE CURE – Le nuove frontiere della Medicina e della Bioetica – 15 giugno 2024 Facoltà Teologica – Torino

(6) https://www.biodiritto.org/Biolaw-pedia/Docs/Comitato-Nazionale-per-la-Bioetica-Risposta-al-quesito-del-Comitato-etico-della-Regione-Umbria-in-merito-alla-corretta-individuazione-di-un-trattamento-di-sostegno-vitale-TSV

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